Dialoghi – La raccolta differenziata in Cina tra mercato dei rifiuti e sostenibilità

Maggio 2025

La raccolta differenziata in Cina ha una storia relativamente giovane. E sin dai suoi inizi ha potuto contare sulla capacità della società civile cinese di contribuire con iniziative per sopperire alle criticità dello smaltimento dei rifiuti. “Dialoghi: Confucio e China Files” è una rubrica in collaborazione tra China Files e l’Istituto Confucio dell’Università degli Studi di Milano.

Di Sabrina Moles

Anno 2014: quando Xi Jinping diventa segretario del Partito comunista cinese (Pcc) e presidente della Repubblica popolare, in Cina è ancora raro incrociare dei cestini per la spazzatura suddivisi nelle due tipologie “secco” (gan laji 干垃圾) e “umido” (wen laji 温垃圾). Dieci anni dopo questi cestini sono visibili ovunque, anche nelle riserve naturali lontani chilometri dalle città di prima e seconda fascia. I compound residenziali ospitano quattro bidoni per tipologia di rifiuto, mentre dei grandi cartelloni (spesso illustrati) ricordano le regole di smaltimento.

Ad oggi la raccolta differenziata è obbligatoria. A partire da Shanghai, il 1° luglio 2019, e seguita da Pechino, il 1° maggio 2020, la Cina si trova ad affrontare l’impresa di trasformare le abitudini milioni di cittadini e implementare un sistema di raccolta dei rifiuti in un paese da 1,5 miliardi di abitanti. L’urgenza di una nuova strategia per la gestione dei rifiuti è chiara: con la crescita esponenziale dei consumi e, in particolare, con l’esplosione dell’e-commerce, i rifiuti domestici sono aumentati sempre di più. 

Già nel 2016, Xi Jinping aveva invocato la necessità di un sistema di raccolta differenziata su scala nazionale, annunciando una nuova fase nel processo di esperimenti pilota già in corso. Tale progetto si è concretizzato ulteriormente nel 2018, quando, in visita a Shanghai, Xi dichiarò che “la gestione dei rifiuti richiede la partecipazione di tutti”. Un anno dopo la metropoli aveva adottato ufficialmente delle normative stringenti per la differenziata, con sanzioni pecuniarie per i singoli (fino a circa 29 dollari) e ben più onerose per istituzioni e aziende (oltre 7 mila dollari).

La nuova politica nazionale impone una suddivisione precisa: “rifiuti umidi” (principalmente scarti alimentari, che a Pechino rappresentano circa il 65% dei rifiuti domestici), “rifiuti secchi”, “materiali riciclabili” (kehuishou laji 可回收垃圾) e “rifiuti pericolosi” (youhai laji有害垃圾). 

Raccolta differenziata in Cina: progressi e ostacoli

Questo tipo di raccolta differenziata (laji fenlei 垃圾分类), sebbene cruciale, ha inizialmente generato confusione, alimentando alcuni tormentoni online che partivano dalla pubblicità delle amministrazioni locali, come “Tu che tipo di spazzatura sei?” (ni shi shenme laji? 你是什么垃圾?). Nonostante le campagne informative, la transizione ha richiesto un notevole sforzo di adattamento. Per semplificare, si è diffusa la cosiddetta “teoria del maiale”: ciò che un maiale può mangiare è rifiuto ‘umido’; ciò che non mangerebbe è ‘secco’; ciò che lo ucciderebbe è ‘pericoloso’; ciò che potrebbe essere venduto per comprare un altro maiale è ‘riciclabile’.

Questa semplificazione, tuttavia, cela la complessità delle logiche di mercato che governano il commercio dei materiali riciclabili, un problema comune a tutti i paesi che adottano la raccolta differenziata per ridurre l’impatto ambientale dei rifiuti domestici. Molti cittadini continuano a conservare materiali vendibili o, dove il sistema non è ancora efficiente, li lasciano separati accanto ai bidoni per facilitarne la raccolta da parte di operatori informali. In questo scenario, organizzazioni terze svolgono un ruolo significativo nel migliorare la qualità della raccolta, sebbene, come evidenziato da Made in China Journal, permanga una certa “ansia da controllo”. Iniziative imprenditoriali, come l’app Aifenlei creata dalla famiglia Xu per il ritiro a domicilio dei riciclabili, testimoniano l’emergere di un vero e proprio settore a sé stante.

Nonostante i progressi, la partecipazione attiva rimane una sfida. Uno studio condotto da Li Yanming, professore associato presso la China Agricultural University, ha rivelato che, sebbene oltre il 90% degli intervistati si dichiari favorevole alla differenziata, solo una percentuale che va dal 18 al 21% la pratica con costanza, e la contaminazione dei rifiuti, specialmente quelli alimentari, è ancora diffusa.

Dalle discariche agli inceneritori: evoluzione e criticità dello smaltimento

Il sistema di smaltimento cinese ha attraversato profonde trasformazioni. Dopo uno scandalo del 1987 che portò alla luce oltre 4700 siti di smaltimento abusivi nei dintorni di Pechino, la prima normativa sui rifiuti solidi fu emanata solo nel 1995, avviando la costruzione di discariche controllate. Tuttavia, le proteste contro l’impatto ambientale delle discariche hanno favorito il ricorso crescente agli inceneritori: entro la fine del 2019, ne erano operativi 11 nella sola Pechino e oltre 400 in tutto il paese, con il ministero dell’Ambiente che ha progressivamente inasprito le normative su emissioni e processi. Pechino genera quotidianamente circa 26 mila tonnellate di rifiuti, Shanghai 22 mila.

L’espansione della capacità di incenerimento ha però iniziato a generare una potenziale sovracapacità: l’offerta sta iniziando a superare la domanda. Secondo un report del 2020 del Wuhu Ecological Centre, citato da Dialogue Earth, almeno dieci giurisdizioni a livello provinciale potevano incenerire più rifiuti di quanti ne raccogliessero. Uno studio successivo, focalizzato su 29 amministrazioni provinciali, ha stimato una sovracapacità nazionale del 100,99% per il 2022. Una situazione che, secondo gli analisti, potrebbe disincentivare gli sforzi per la riduzione dei rifiuti e la raccolta differenziata, anziché spingere verso ulteriori miglioramenti del sistema. Inoltre, la classificazione di questi termovalorizzatori come generatori di “bioenergia” rinnovabile, con tanto di sussidi dedicati (circa 0,25 yuan per kWh), è contestata dagli esperti che vedono nell’output energico un ulteriore freno a ridurre la produzione dei rifiuti a monte.

E in futuro?

Mentre sembra chiara la strategia sulla differenziata dei governi locali (almeno sulla carta), non si può dire altrettanto della qualità del sistema di differenziazione, raccolta e smaltimento dei rifiuti. La necessità, secondo gli analisti, resta quella di applicare dei sistemi di valutazione più adattabili ai singoli casi, mentre rimane cruciale il coinvolgimento di una pluralità di attori (governo, comunità, imprese, terzo settore). Ma iniziano a esserci alcuni esempi di buone pratiche. Città come Xiamen hanno implementato delle strategie multifase, come la costruzione di infrastrutture e l’adozione di iniziative che promuovano la partecipazione attiva dei cittadini. Il tutto supportato da meccanismi di feedback continui. Hao Liqiong, co-fondatrice di Aifen, ha dichiarato in un’intervista con Dialogue Earth: “Pensavamo che cambiare il comportamento delle persone sarebbe stata la parte più difficile. Ma si è rivelato facile. La cosa difficile è cambiare i servizi pubblici del governo”.

La capacità di trattamento dei rifiuti separati, in particolare quelli organici, rimane uno dei colli di bottiglia di questo processo. Nel distretto di Haidian a Pechino, per esempio, la quantità di rifiuti alimentari da trattare è raddoppiata con l’obbligo di differenziazione, superando la capacità attuale degli impianti. Il divieto cinese all’importazione di alcune categorie di rifiuti, inoltre, ha ulteriormente accentuato la necessità di un sistema di gestione interna efficiente e sostenibile. 

Secondo Liu Jianguo, esperto del settore, le “cose semplici sono già state fatte”. Le sfide all’orizzonte ora prevedono l’implementazione di un sistema di responsabilità estesa del produttore (EPR), l’introduzione di una tariffazione basata sulla quantità di rifiuti prodotti e una maggiore integrazione regionale e urbano-rurale.